Due lastre di ferro nero appese ad un muro
tinto di bianco: sembrano quasi due effe, una in piedi, l’altra rovesciata “fɟ” (potere dell’immaginazione).
Un taglio a zig-zag nel mezzo ha diviso in due
il metallo con decisione, fermezza, provocando una rottura precisa che, nella sua discontinuità di linea, ha creato uno spazio frammentato, quasi di attesa.
Le due metà di metallo quasi speculari, seppur
divise si guardano:
forse si attraggono, come se fossero
guidate da un magnete? forse si allontanano ancora di più aumentando a dismisura lo spazio tra di loro, fino a perdersi? forse restano lì, a guardarsi in bilico, in un incastro
mancato?
Una cosa è certa, osservandole, sento un’energia
quasi vitale tra le due metà, ed è subito: vov!
Le osservo per qualche istante, sperando quasi
che si uniscano; vorrei prendere le due placche e avvicinarle tra loro, creando quell’incastro mancato che è li davanti ai miei occhi. Ma poi penso, “l’attesa è più bella del raggiungimento
in sé”, se le accosto, la magia finisce. Dunque non ci resta che attendere a volte